29 agosto 2009

MONDIALI: L'ANALISI




di Giorgio Rondelli
In vista dei giochi olimpici di Londra 2012, con in mezzo gli europei di Barcellona 2010 ed i mondiali di Daegu 2011 il dopo Berlino dell’atletica azzurra merita una lunga riflessione.
Una lunga riflessione, come ha detto il presidente federale Franco Arese nella conferenza stampa di domenica scorsa a conclusione dei mondiali, che possa portare, se non ad una svolta clamorosa nella gestione dell’atletica leggera italiana, almeno ad un’inversione di tendenza in fatto di risultati. Ad onor del vero, lo stesso discorso lo avevamo sentito quattro anni fa dopo il mondiale di Helsinki, ma evidentemente la riflessione in questione non ha prodotto le contromisure necessarie. Un’analisi non preconcetta e non catastrofica porta ad una prima considerazione generale: le forze dell’atletica italiana sono quelle viste a Berlino con l’aggiunta di un Andrew Howe sano e di Alex Schwazer in forma + qualche giovane di talento che potrebbe sbocciare a breve per dare il proprio contributo alle sorti dell’atletica azzurra. Lasciando perdere i discorsi populistici che riguardano lo sport nella scuola che puntualmente vengono fuori ogni volta che in una singola disciplina i risultati non arrivano, i reali problemi dell’atletica italiana sono altri e possono essere cosi riassunti. A) Gestione delle punte. B) Ruolo e funzione dei club militari. C) Ruolo e funzione dei club civili. D) Immagine dell’atletica. Proviamo ad analizzarle punto per punto.A) Finora è stata deficitaria. Il caso Howe è senza dubbio il più eclatante, ma ce ne sono tanti altri, vedi Magdelin Martinez ed altri ancora minori. Per esempio che fine ha fatto Cosimo Caliandro l’atleta delle Fiamme Gialle che nel 2007 aveva vinto il titolo europeo indoor sui 3000 metri? Alle spalle c’è anche un problema economico che riguarda le borse di studio che sono davvero modeste e non in linea con chi deve fare l’atletica di alto livello. In Spagna dove non ci sono club militari, gli atleti di prima fascia prendono dalla loro federazione cifre fra i 50 e gli 80 mila euro, da dividere in parti eguali con il loro tecnico B) Sul ruolo e funzione dei club militari si potrebbe scrivere un romanzo. Per prima cosa si può dire che svolgono un ruolo importante per l’atletica italiana cosentendo a molti atleti di avere la copertura economica per dedicarsi all’atletica a tempo pieno. Ciò non toglie che quasi mai riescano a gestire al meglio la pletora di atleti di medio alto livello, oramai oltre i 600, che hanno tra le proprie fila. E qui la Fidal potrebbe già fare molto istituendo un organismo di controllo dell’attività di ogni singolo gruppo sportivo militare previo un censimento accurato degli atleti con lo stellette, dei loro risultati nel corso degli anni e delle loro singole situazioni tecniche, logistiche e mediche, visto che quasi nessuno si allena presso le sedi del gruppo sportivo miltare.C) Sul banco degli accusati anche i club civili che non fanno altro che piangersi addosso lamentando la cronica mancanza di fondi a loro disposizione, ma guardandosi bene da spenderli per trattenere nel club i loro migliori talenti che così finiscono inevitabilmente nei club militari, evidentemente più contenti di utilizzarli per partecipare ad un campionato di società di livello sempre più basso e di nessun interesse tecnico e spettacolare. Meglio puntare allora sui campionati di specialità molto meno dispersivi e che valorizzerebbero molto di più il lavoro dei singoli tecnici. D) Inutile nascondersi che, anno dopo anno, l’immagine dell’atletica è diventata sempre più appannata e di minor richiamo per i vari sponsor. L’ultimo esempio viene dai campionati assoluti di Milano. Al di là della sede e del prato dell’Arena di postnucleare memoria non si può organizzare un campionato in tre giornate per poi stilare un orario che obblighi atleti e pubblico a stare sotto il sole per almeno sei ore nelle ultime due giornate. I tempi morti uccidono l’atletica, ma forse qualcuno aspetta pazientemente il funerale per rendersene conto. La considerazione finale è che Franco Arese, grande atleta ed ottimo imprenditore, le idee chiare dovrebbe averle, mentre ci sono forti dubbi che le abbiano anche i vari dirigenti che fanno parte della sua squadra dirigenziale troppo impegnati a salvaguardare i propri interessi personali o ad inventare nuovi regolamenti solo per il gusto di cambiare quelli vecchi che qualcosina hanno prodotto per l’atletica azzurra. Con questa zavorra tornare a volare in alto è impossibile. La politica dei voti a rendere non ha mai portato da nessuna parte.

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