Piero Ligas scrive una lettera aperta al
Presidente Arese
All’ Ill.mo Signor Presidente della FIDAL Nazionale, dott. Franco Arese
Alle federazioni regionali
Alle società sportive
Agli atleti
Oggetto: Atletica, quale futuro?
Illustrissimo Signor Presidente,Sono un ex atleta e le scrivo per sottoporre alla sua cortese attenzione alcune problematiche inerenti la disciplina da Lei egregiamente praticata in passato. Attualmente presiedo la società sportiva “Futura Cagliari soloatletica”, sorta nel 1991 per volontà di alcuni ex atleti i quali hanno sentito l’esigenza di conservare l’essenza dello spirito dell’atletica leggera che ha la peculiarità di essere uno sport individuale. La nostra società è basata sull’autogestione in quanto dirigenti ed atleti si autofinanziano e collaborano nell’espletamento delle diverse attività per il conseguimento degli stessi obiettivi. In tal modo intendiamo avvalerci di tutte le intelligenze e le competenze di ciascuno, nel rispetto delle regole della convivenza civile e sportiva. Il nostro collante è la passione per questa bellissima disciplina. Tuttavia, riscontriamo che la nostra filosofia incontra difficoltà ad inserirsi nell’attuale interpretazione di questa attività sportiva che si avvia sempre più ad essere praticata come sport di squadra . Essendo evidente a tutti la crisi della nostra atletica, sia di vertice che di base, dove pensa possa portarci l’attuale politica sportiva? Ho iniziato a praticare questa disciplina nel lontano 1965 ed ho conosciuto, come Lei, diversi periodi fertili, momenti di crisi e di ripresa, sino alla fine degli anni 80. Allora erano numerosi ed altamente competitivi sia gli atleti di vertice che di base. Nella mia isola, dai profumi intensi di mirto e di elicriso, sulla linea di partenza dei cross si radunavano persino cento atleti “veri” e si correva sfiorando i 3’ a km. Dalla fine di quegli anni in poi, a mio modesto parere, è incominciato un lento ed inesorabile declino delle prestazioni atletiche ed una contrazione sempre più accentuata del numero di giovani atleti. Attualmente solo poche società, quelle economicamente più forti, possono partecipare in modo competitivo ai vari campionati societari, avvalendosi dell’acquisto di atleti già formati nelle società più povere e ricorrendo anche agli stranieri per coprire i vari settori. Spesso accade che alcune,che desiderano cimentarsi in questa esperienza, falliscano dopo breve tempo. Perciò solo le prime possono usufruire di una maggior quota degli ormai scarsi finanziamenti statali. Questo mercato di tipo calcistico ha demotivato e allontanato molti giovani in via di formazione, creando un vuoto tra i pochi atleti di vertice e la foltissima schiera di amatori, caldeggiati e contemporaneamente vilipesi, utili per tutte le circostanze. Le gare in pista, dopo i societari, possono contarsi sulle dita di una mano, nonostante in questa Sardegna di sole, di mare e di pietre, siano state realizzate numerosissime piste. Ormai le manifestazioni sportive si svolgono prevalentemente per le strade, in occasione delle festività dei Santi Patroni, o delle sagre paesane per la promozione turistica ed anche, dispiace ammetterlo, per fare cassa. Di fatto, questo tipo di organizzazione è sempre più simile all’esercizio di impresa piuttosto che a quella di una manifestazione sportiva e gli atleti, che sono i reali protagonisti e dovrebbero percepire addirittura un compenso, rappresentano oramai un bacino di utenza su cui vengono scaricati i costi di organizzazione, tra l’altro sempre più onerosi, con relative penali. I partecipanti alle gare ,infatti ,devono finanziare le federazioni, le società di appartenenza, le gare cui partecipano e se stessi (per l’attrezzatura, le visite mediche e le trasferte). Inoltre, se per qualche motivata ragione non possono prendere parte alle manifestazioni, tutto ciò che hanno speso non viene loro reso. Non solo, il malcapitato atleta o dirigente, che si assume l’onere di ritirare i numeri di gara della propria società, deve anticipare personalmente i costi e ,nell’ipotesi che non tutti gli iscritti siano presenti, è costretto a prodigarsi, con grande dispendio di tempo e di energie, per recuperare ciò che ha anticipato. Infine, per completare il quadro della realtà nella quale oggi si opera, l’atleta non tesserato in quelle pochissime società che dispongono di una propria pista, deve far fronte ad ulteriori costi rappresentati dagli affitti dei campi comunali e dei relativi atti burocratici. A tutto ciò si aggiungono le donazioni, imposte e non spontanee, alle varie associazioni che si abbinano alle manifestazioni sportive, per raccogliere più facilmente fondi.In questo modo l’atleta, oltre a perdere il ruolo di protagonista, perde anche di considerazione umana poiché “trasformato in un limone” da spremere anche per scopi definiti umanitari. Penso sia arrivato il momento di riflettere un po’prima che le cose sfuggano di mano ,per non cadere nei meccanismi fuorvianti delle mode,o del famoso detto “Così fan tutti”.In questo momento di crisi economica ritengo che, sia i costi che i benefici, debbano venire equamente suddivisi per evitare di creare una disparità che contrasta con il diritto di tutti di poter praticare questa disciplina sportiva. Purtroppo l’eliminazione dei campi CONI, realizzati per favorire gratuitamente la diffusione dell’atletica leggera, ha determinato di fatto una gestione privatistica la quale, spesso, persegue fini che niente hanno a che fare con la promozione sportiva. Quello che maggiormente mi fa “infuriare” è che tutto ciò viene imposto dall’alto, senza confronti e dibattiti da cui potrebbero scaturire soluzioni più adeguate all’attuale situazione economica, così come avviene negli altri settori della società civile e democratica del nostro paese. Ho sempre percepito la realtà sportiva come un mondo a parte, privo della possibilità di esprimere le proprie idee in merito a qualunque problematica venisse a crearsi. Non riesco a comprendere il motivo per cui gli atleti, che rappresentano il perno principale dello sport, vengano sistematicamente esclusi da ogni tipo di dibattito o, perché ritenuti incapaci di formulare analisi critiche, o forse temuti proprio per il contrario. Fin dall’inizio di tale politica sportiva ho espresso le mie perplessità rispetto al futuro di questa disciplina, perplessità condivise da tutti gli atleti ma da pochissimi dirigenti, di cui non capisco le motivazioni della loro presunta non condivisione: inadeguatezza gestionale? Convenienze personali? Indifferenza? Timore di esprimere le proprie opinioni? Non so. Son certo però che tutto ciò non aiuta alla soluzione dei problemi che stiamo vivendo. Attendo con fiducia un’ inversione di tendenza o quanto meno una maggiore possibilità di confronto e un ricambio dirigenziale di base più frequente. Ritengo, infatti, che una lunga permanenza nei ruoli dirigenziali possa favorire la trasformazione di tali ruoli in centri di potere. Dalle osservazioni sulle dinamiche relazionali, ho dedotto che gli individui sono predisposti sì a farsi guidare ma non a farsi comandare; l’esercizio di comando, quindi, è più un bisogno di chi lo esercita piuttosto che una necessità di coloro cui viene rivolto. E’ dall’analisi di questo concetto che bisogna ripartire, se si vogliono migliorare i rapporti interpersonali, da sempre trascurati, tra dirigenti ed atleti. Vengo accusato di essere ancorato al passato, ma la storia insegna che per procedere in avanti occorre, ogni tanto, guardare a ritroso nel tempo, perché noi siamo anche il risultato di ciò che ci ha preceduto. Non rivolgere lo sguardo verso il passato, quindi, ci impedisce di progettare adeguatamente il futuro. Si eviterebbe così di venire intrappolati nelle strette maglie di una logica della convenienza sterile e cinica, che dà maggior valore ai ruoli ricoperti piuttosto che alle motivazioni per cui li si ricopre. I ruoli infatti dovrebbero rappresentare un’occasione per esprimere le proprie competenze e capacità. Le mie osservazioni sono sempre state espresse,non per motivi personali,ma in difesa dell’atletica e degli atleti, poiché la cultura mi ha insegnato che tutto ciò che si ama veramente si anima e lo si difende fino in fondo. Ritengo che coloro che non amano sinceramente le cose amano solo possederle e quindi non hanno interesse a che queste vivano. Nella speranza di non aver leso la Sua sensibilità, confido in Lei come massimo esponente di questa disciplina a cui ha dato tanto come atleta, affinché le realtà da me descritte possano cambiare nell’interesse di tutti gli atleti di questo splendido sport. Augurandole un 2008 di buon lavoro, Le porgo i miei più sinceri saluti.I sistemi sono “Luoghi” ove la coscienza, la creatività e il coraggio, finiscono per cadere in un sonno profondo. (P.L.)per eventuali contatti inviare a Piero Ligas futuracagliari@alice.it tel.070.542035
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