17 ottobre 2007

LE SOFFERENZE DI ANTIBO

"La mia vita col piccolo male"di EUGENIO CAPODACQUA

SALVATORE ANTIBO

- Dal '91 non ha più potuto nasconderlo: soffriva di epilessia. E ha dovuto smettere di correre. Oggi, a 43 anni, Salvatore Antibo non è poi così diverso da quel "Totò" che faceva sognare gli appassionati di atletica. Ha solo l'aspetto un po' più paffutello. Le gote leggermente gonfie fanno risaltare meno quegli occhi scuri, incavati, spiritati, che lo avevano imposto, assieme alle sue volate lunghissime e rabbiose, all'attenzione degli amanti del mezzofondo e all'emozione del grande pubblico dell'atletica anni 80. Abito scuro, portamento austero, parlantina sciolta, solo un'ombra di emozione nella voce quando a Roma riceve ufficialmente dalle mani del ministro dei Beni Culturali, Urbani, la targa che gli attribuisce il vitalizio della legge Onesti: un riconoscimento giusto e meritato per un atleta come lui, che ha segnato la storia del mezzofondo italiano, di cui detiene ancora il prestigioso record dei 5.000 (13: 05: 59, nel luglio di ben quindici anni fa, a Bologna), e che è poi è stato duramente toccato dalla sorte. Ad uno dei pochi momenti in cui lo sport ritrova valori dimenticati, non potevano mancare (davanti alle telecamere) né il presidente del Coni Gianni Petrucci, né il segretario Pagnozzi e tantomeno il sottosegretario ai beni culturali Mario Pescante, ex presidente del Foro Italico che solidarizza, rivangando il suo passato (molto modesto, per la verità) da mezzofondista. "Ricevere questo riconoscimento - dice subito Antibo - mi cambia la vita. In questo momento provo la stessa emozione, la stessa gioia di quando correvo e vincevo. E' una cosa che non potrò mai dimenticare". Poi con modestia aggiunge: "Forse però c'erano altri atleti più meritevoli di me". Si tratta di pochi euro (17.000 l'anno), che giustamente Pescante definisce "una stretta di mano che ti dà il Paese". Ma non essere dimenticati da un mondo sportivo sempre più mercificato e senza cuore, non è poco di questi tempi. Antibo si scalda: "Sarò sincero: ce l'ho con il presidente Gola (il predecessore di Arese, l'attuale presidente della Fidal, n. d. r.) che per tanti anni si è dimenticato di me e di quello che ho fatto per l'atletica".
"Cosa faccio adesso? Il pensionato dello sport, giovane ma pensionato. Cosa posso fare? Un po' di corsa, e poi casa e famiglia. Nient'altro, perché il male mi impedisce tutto il resto". Nel suo ricchissimo palmares risultati di prestigio: 4º ai Giochi di Los Angeles ('84) nei 10.000; argento a Seul ('88); oro nei 5.000 e nei 10.000 agli Europei di Spalato (1990); 1º in Coppa del mondo (10.000/1989); due ori un argento e un bronzo in Coppa Europa sempre nel mezzofondo. Dopo una carriera da campione arrivò quella maledetta finale dei mondiali di Tokyo del '91, quando un'improvvisa crisi lo fece inspiegabilmente scivolare in ultima posizione, da grande favorito della vigilia. A quel punto il "piccolo male", tenuto abilmente nascosto da tutto l'ambiente, divenne troppo evidente per essere negato ancora. E per Totò cominciò il calvario, i tentativi inutili di continuare, fino all'abbandono, un paio di stagioni appresso. "Come mi è venuto? Forse un incidente in auto da bambino", spiega. A quattro anni Antibo venne investito da un'auto subendo un trauma cranico gravissimo. "All'inizio sembrava un piccolo problema, ci convivevo facilmente; poi con un secondo incidente d'auto tutto si è aggravato; ora viaggio con sei-sette medicine al giorno, non guido più; non posso mai stare da solo, la crisi può arrivare in ogni momento. Mi sarei potuto operare, ma proprio quando avevo deciso, il professore che avrebbe dovuto fare l'intervento, morì. L'ho interpretato come un segno del destino. Mi resta la corsa. Corro tutti i giorni. Vado con gli amici, perché da solo non posso. Poi a casa a dedicarmi ai miei due figli". Sulle origine della sua epilessia sono state fatte tante ipotesi e anche pesanti insinuazioni. Gli anni dei suoi successi erano quelli dell'emotrasfusione selvaggia, come ammise all'epoca lo stesso Cova, asso di punta del mezzofondo azzurro. "Io non so se lui l'abbia fatta. So solo che io non ho mai fatto nulla", puntualizza Antibo. Pur sgraziato nella corsa, secondo i tecnici, aveva un grandissimo talento. Passa ancora per essere stato l'ultimo europeo bianco capace di battere i neri d'Africa. "E adesso l'Europa nel mezzofondo non c'è più, io però ho una grandissima ammirazione per gli africani. Il doping? I sospetti? Non ci credo. Loro sono l'essenza del talento nella corsa: sanno ancora soffrire per allenarsi duramente".
(10 marzo 2005)

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